Il Fronte del Cielo - Addestramento - 19.1 - Le Scuole
Lo sforzo adddestrativo assorbì mezzi ingenti, che il Commissario Eugenio Chiesa quantificò in 2.809 unità, pari al 23,4 % dell’intera produzione nazionale e sostanzialmente in linea con l’incidenza degli aerei scuola sulla forza totale (33,8% al 1° novembre 1917, 23,8% al 1° marzo 1918 e 31,9% al 1° giugno 1918). Secondo Chiesa al termine della guerra esistevano 30 scuole di pilotaggio e perfezionamento, tra militari e civili, con circa seimila allievi piloti ed un gettito mensile di oltre mille brevettati. Ciascuno dei 24 campi scuola costruiti disponeva in media di circa 15.000 metri quadri coperti tra hangar, depositi e officine. Nel solo 1918 le 23 scuole di volo e quella di tiro di Furbara totalizzarono 130.108 ore di volo per 11.662 frequentatori tra Esercito, Marina e stranieri, in gran parte americani. Nel primo anno di guerra il Battaglione Scuole Aviatori venne articolandosi su tre gruppi scuola per un totale di dieci campi. In esso confluì anche il Gruppo Scuole Civili per Aviatori Militari, creato il 1° maggio 1915 a Torino alle dipendenze del Comando di Aeronautica (Aviatori) ed al quale afferivano la Scuola Volontari Aviatori, la scuola SIT di Mirafiori, quella Gabardini di Cameri e quella (probabilmente SAML) di Cascina Costa. Alle scuole civili furono assegnati gli allievi che stavano già frequentando il «corso di perfezionamento», i piloti militari «dell’ultimo reclutamento muniti di brevetto di primo grado, e non ancora inscritti al corso» e i «borghesi sprovvisti del brevetto di pilota, prescelti tra coloro che ne avevano fatto domanda, che assumessero l’arruolamento volontario prescritto.» Nel giro di pochi mesi il Gruppo fu sciolto e le scuole passarono in gestione all’Esercito, a eccezione della Gabardini di Cameri che brevettò 1.141 piloti (23 nel 1915, 193 nel 1916, 414 nel 1917 e 511 nel 1918) e proseguì sino alla metà degli anni Trenta. Un’altra scuola civile fu gestita dalla SIAI di Sesto per preparare i piloti degli idrovolanti FBA acquistati da Esercito e Marina. A metà 1916 il Battaglione Scuole contava ormai 3.466 persone, compresi 194 tra impiegati e operai. Dei militari circa un quarto – per l’esattezza 744 - erano piloti, ma i dati disponibili non distinguono tra aspiranti piloti, allievi piloti e piloti, né, in questa categoria, tra istruttori e brevettati impegnati nel passaggio macchina. Alla fine del maggio 1916 esistevano otto scuole di volo (S. Giusto, Coltano, Busto Arsizio, Cameri, Cascina Costa, Coltano, Venaria Reale e Cascina Malpensa), una scuola allenamento (Mirafiori) ed una scuola osservatori ( Centocelle), per un totale di 650 persone tra piloti (164), allievi piloti (159) ed aspiranti allievi piloti (327). Il programma per la primavera 1917 richiedeva 1.450 piloti, per i quali fu pianificata l’espansione alle scuole sino a poter accogliere entro ottobre 1.300 aspiranti allievi piloti. Nell’estate 1916 fu creato il Comando Scuole Aviatori, comprendente i sei gruppi scuole (dei quali due, compreso uno per idrovolanti, in via di costituzione) e posto alle dirette dipendenze del Comando d’Aeronautica. L’espansione verso sud era legata soprattutto a considerazioni meteorologiche legate al maggior numero di giorni volativi. Gli ambiziosi propositi di crescita si realizzarono solo in parte, sia in termini assoluti che di effettiva operatività delle singole scuole. Alla fine del primo semestre 1917 erano in attività quattro gruppi terrestri ed uno idrovolanti, per un totale di 15 scuole, un numero ancora insufficiente in relazione alla quintuplicazione degli aerei disponibili, tanto che la Direzione Generale d’Aeronautica riteneva necessario avere dal Comando Supremo trecento “aspiranti-allievi” al mese e portare la capacità delle scuole di pilotaggio ad almeno 2.500 allievi. Nell’aprile 1917 per le esigenze della Marina riaprì la scuola di Taranto, affiancandovi l’anno successivo quella di Bolsena. Come l’area industriale, anche quella addestrativa, transitata all’Esercito nel settembre 1916, continuò ad avere gestione unificata anche dopo il ritorno dei reparti operativi navali alla Marina. Si ebbero così campi terrestri comandati da ufficiali di Marina, come a Capua, e scuole idrovolanti gestite dall’Esercito, come a Passignano sul Trasimeno. Particolare importanza ebbero le scuole destinate ad addestrare i piloti statunitensi destinate ai bombardieri e agli idrovolanti, rispettivamente a Foggia e Bolsena. Vari corsi furono organizzati in zona di guerra per completare la formazione dei piloti in occasione del passaggio su macchine diverse o di cattiva fama. Benché spesso indicate come “scuole” nella documentazione, avevano consistenza assai ridotta e utilizzavano piloti esperti prestati dai reparti. La necessità di completare la preparazione professionale dei piloti portò successivamente a creare alcune scuole specializzate, per esempio di tiro in volo. La principale scuola non di pilotaggio fu la Scuola Osservatori di Centocelle, che nel solo 1918 brevettò 244 osservatori.
La Marina, la cui scuola osservatori fu sempre a Taranto, trasse almeno occasionalmente i piloti da quanti avevano frequentato il corso osservatori, ottenendo indirettamente una preparazione professionale più completa grazie alle nozioni di radiotelegrafia, segnalazione, navigazione e orientamento e motori. Ciò avvenne anche nell’Esercito, dove ad esempio il futuro capo di Stato Maggiore ten. Mario Ajmone-Cat si brevettò osservatore il 23 maggio 1915 e pilota il 16 ottobre 1916. In generale, però, gli osservatori dell’Esercito furono spinti a mutarsi in piloti solo nel dopoguerra sotto il peso preponderante conferito ai piloti nell’ordinamento della Regia Aeronautica. L’organizzazione comprendeva infine scuole per formare le diverse tipologie di personale specializzato d’aeronautica, dai motoristi ai montatori, dagli elettricisti ai mitraglieri ed agli artificieri, dai telefonisti ai radiotelegrafisti e persino ai “conducenti meccanici”. Di qui la scelta di “industrializzare l’istruzione” ricorrendo a scuole civili come la Gabardini di Cameri o il Feltrinelli di Milano, al quale a fine 1917 si prevedeva di affiancare quelle di nuova istituzione a Roma (per motoristi), Torino e Napoli. Gli istruttori, che erano in proporzione di circa uno ogni 10 allievi, erano scelti in base all’anzianità ma senza formazione standardizzata e quindi con stili, ruoli e approccio spesso molto diversi tra loro. Alcuni erano civili, tanto presso le scuole civili quanto presso quella navale di Taranto, dove operò anche un americano appositamente incaricato per gli idro Curtiss. In compenso è testimoniata, sia pure senza dati quantitativi, la riassegnazione diretta di piloti neo-brevettati come istruttori (il cosiddetto “ciclo chiuso”). L’iter istruzionale dell’Esercito prevedeva due fasi. La prima, durante la quale i frequentatori erano “aspiranti allievi piloti” e non percepivano alcun soprassoldo per il pilotaggio, portava al conseguimento del brevetto civile rilasciato dall’Aero Club d’Italia (“primo brevetto”). La seconda, durante la quale i frequentatori erano “allievi piloti aviatori” con soprassoldo, portava al brevetto militare (“secondo brevetto”). I “piloti aviatori” potevano essere chiamati a successivi periodi addestrativi per conseguire l’abilitazione sui diversi tipi di aeroplani impiegati in operazioni. Ciascun brevetto comprendeva esami orali e prove pratiche che oggi appaiono piuttosto modeste. Agli inizi del 1918, gli insegnamenti teorici per gli ufficiali piloti comprendevano un’ampia panoramica di “Aeronautica”, una rassegna sull’impiego (comprese topografia e fotografia), materie tecniche quali motori, radiotelegrafia ed elettricità, ma è probabile che a tale completezza si fosse arrivati solo gradualmente. Il sillabo addestrativo era improntato a forte gradualità e seguiva il modello francese. L’allievo apprendeva dapprima il controllo dell’aereo a terra, poi eseguiva brevi rette di pista (con aerei con potenze e superfici alari insufficienti a consentire il distacco da terra e il sostentamento in aria) e progrediva fino al giro campo, alla mezz’ora di volo, all’ora di volo e ad altre prove grazie all’impiego di aerei con potenza e superficie alare gradualmente crescenti. Caratteristica comune era la brevità dei singoli voli (8-15 minuti), finalizzati all’apprendimento della condotta del velivolo nelle fasi di decollo e atterraggio con limitato spazio per la parte operativa. Il sommarsi delle limitate conoscenze su talune manovre – segnatamente la vite e lo stallo – alla poca esperienza dei singoli istruttori rendeva impossibile insegnare le elementari tecniche di rimessa e suggeriva anzi di evitare in ogni modo di potercisi ritrovare. Una testimonianza del collaudatore Guido Guidi suggerisce come le errate tecniche di pilotaggio apprese nella fase addestrativa – quali il decollo senza alzare la coda dal suolo o la virata senza inclinare le ali – si traducessero ai reparti nell’impossibilità di decollare ed ingenerassero sfiducia nelle macchine. Solo nel prosieguo della guerra vennero sviluppate scuole dedicate alle tre diverse specialità caccia, bombardamento e ricognizione, con ulteriori scuole per aspetti particolari quali tiro aereo o acrobazia. Tutto restò comunque sotto il segno della brevità: nel 1918 i brevetti di primo e secondo grado venivano completati in media in 9,8 ore complessive, mentre le scuole di specialità ne richiedevano in media altre 16,4, per un totale di 26,2 ore per l’intero iter. Tale attività, complessivamente modesta, si dispiegava su un arco di tempo piuttosto lungo, con scarsa capacità di utilizzare a fini formativi le lunghe attese tra un volo e l’altro. L’attività cosiddetta “notturna”, si svolgeva solo alla luce lunare e con illuminazione fotoelettrica per l’atterraggio. La modesta strumentazione di bordo, priva soprattutto di strumenti giroscopici, impediva infatti agli aerei di mantenere l’assetto voluto o la rotta in condizioni di buio assoluto o in nube. Le attrezzature didattiche specifiche per il bombardamento comprendevano la “camera obscura” (descritta come una fotocamera che registrava gli impulsi luminosi emessi sulla sua verticale, dai quali poteva essere ricavata per via matematica la precisione del tiro), il “tappeto mobile” (probabilmente per simulare il puntamento) e le bombe da esercitazione. Salvo i Gabardini, forniti dalla scuola nell’ambito del proprio contratto, non risultano macchine sviluppate appositamente per l’addestramento basico o scelte sulla base di caratteristiche particolari quali facilità di pilotaggio, sicurezza, robustezza o completezza di dotazioni.
Alle scuole erano riservate innanzi tutto le macchine divenute obsolete al fronte, in termini di prestazioni, così come spesso vi venivano inviate quelle rivelatesi inadatte per problemi di costruzione, nell’errato convincimento che l’uso addestrativo fosse meno duro di quello operativo. Se è noto che diversi tipi operativi furono muniti di doppi comandi per le fasi addestrative più avanzate, il passaggio velivolo o la conversione operativa dei piloti già brevettati, l’incidenza quantitativa e l’origine – nuova costruzione o trasformazione – sono però difficili da valutare. A fronte del rapporto di un aereo ogni tre allievi, considerato ottimale, nel 1917 la disponibilità effettiva era ritenuta insufficiente. In quell’anno la mancanza di aerei a doppio comando bloccò i corsi Pomilio a Mirafiori dal marzo al giugno e quella SIA in ottobre, mentre in settembre per lo stesso motivo furono sospesi i corsi Pomilio a Malpensa. L’estrema frammentarietà dei dati disponibili e la loro difformità dai parametri oggi utilizzati rende difficile una verifica del diffuso convincimento che il tasso di mortalità presso le scuole di volo fosse più alto di quello ai reparti. Le statistiche più organiche appaiono quelle raccolte in una relazione per gli Stati Uniti, secondo cui nel 1918 in 23 scuole di pilotaggio per aerei terrestri si registrarono 171 morti tra allievi (145, pari all’1,94% di quanti iniziarono l’istruzione al volo) e istruttori (26, pari al 5,92% della forza) nel corso di 127.745 ore di volo. Dal punto di vista complessivo, la media di un morto ogni 747 ore di volo nel 1918 può essere confrontata con quella di un caduto ogni 1.106 ore registrata dal complesso dell’attività di volo della Regia Aeronautica negli anni 1924-1927. Il basso rateo registrato dagli americani a Foggia – un morto ogni 4.287,7 ore di attività addestrativa – adombra l’affascinante ipotesi dell’effetto positivo della maggior cultura generale e tecnica sulla sicurezza del volo, ma anche in questo caso mancano purtroppo i dati per una verifica. La principale causa di morte era rappresentata da cattiva condotta di volo (54,4%), seguita da cedimenti strutturali (9,94%), atterraggi (9,36%) e incendi a bordo (5,26%), con un 21% attribuito a generiche cause miste. Dal punto di vista professionale, qualche differenza qualitativa sembra essere esistita a favore della Marina. La maggior durata dei voli, conoscenza della navigazione, consapevolezza della prevalenza della missione rispetto al puro pilotaggio costituivano altrettante importanti differenze rispetto al modello dell’Esercito. Le minori dimensioni dell’aviazione di Marina e le stesse incertezze dei vertici nei suoi confronti non permisero però di coglierne le potenzialità. Dal punto di vista strettamente militare il limite principale delle scuole di volo fu gestionale, una lettura già chiara agli americani quando trovarono Foggia carente sotto il profilo organizzativo militare. Su questo concordava l’aggressivo promemoria dell’ex comandante generale d’aviazione, generale Luigi Bongiovanni, che nel dopoguerra con pur generica amarezza come «Molte migliaia di giovani – qualcosa come nel 18 mila [sic] se ben ricordo – sono stati tolti dalla guerra e mandati a ingombrare scuole improduttive per difetto di maestri, di mezzi e di organizzazione». Il giudizio sull’immenso sforzo addestrativo deve tener conto non solo di una preparazione tanto empirica e pionieristica quanto lo era la condotta della prima guerra aerea, ma anche dei problemi generali della società e delle forze armate italiane dell’epoca: limitata preparazione generale e tecnica, cultura dell’exploit piuttosto che del sistema, bassa qualità dei sottufficiali, scarse risorse economiche, forti differenze di classe, assenza di metodo scientifico, arretratezza di gran parte del paese e riluttanza ad affrontare le questioni complesse in ogni loro aspetto. Nonostante questo, i piloti addestrati con quei metodi ingenui si mostrarono non inferiori agli avversari e seppero compiere importanti imprese di guerra e, negli anni successivi, grandi voli sportivi.
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