Il Fronte del Cielo - Le Idee - Giulio Dohuet

Nato a Caserta il 30 maggio 1869, figlio di un ufficiale farmacista, Giulio, nizzardo, e di madre vercellese, Giacinta Battaglia, fu allievo nel collegio militare di Firenze nel 1882, e dal 30 settembre 1886 dell'Accademia militare di Torino, uscendone col grado di sottotenente di artiglieria nel 1889. Inviato alla Scuola di Applicazione d'Artiglieria e Genio, sempre a Torino, l’anno successivo, con il grado di tenente presta servizio nel 5° Reggimento di artiglieria da campagna, e nel 1895 è ammesso alla Scuola di Guerra di Torino per un triennio. Superati gli esami nel 1899, è trasferito presso lo stato maggiore dell’'VIII Corpo d'Armata di Firenze. Promosso a scelta capitano nel 1900, dopo dieci anni nominato maggiore sempre a scelta, deve lasciare la sua arma di appartenenza per la fanteria transitando nel prestigioso 2° reggimento bersaglieri, stanziato a Roma. Nel frattempo Dohuet frequentava corsi di elettrotecnica e dava alle stampe studi sulle applicazioni della basse temperature, sui motori a campo rotante e tra il 1901 e il 1904 sulle applicazioni militari dell'automobilismo. Nel 1904-05 pubblicò sul quotidiano genovese Caffaro una serie di articoli di commenti tecnici sulla guerra russo-giapponese, cogliendone gli elementi di modernità. Nel dicembre 1905 sposò Gina Casalis, figlia di un senatore, e nel 1910 fu promosso maggiore a scelta e decorato della croce di cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia; lo stesso anno pubblicò sul giornale “La Preparazione” sei articoli su “I problemi dell'aeronavigazione” (raccolti anche in opuscolo, Roma 1910), che aprirono un ampio dibattito sulle possibilità di sviluppo dell'aviazione e il suo impiego militare, dibattito cui egli partecipò con una fitta serie di interventi nel biennio1910-11. Tuttavia rimase sempre scettico sulla opportunità di meccanizzare la fanteria; Riteneva infatti assurdo: che tutta la fanteria dell'esercito dovrebbe essere provveduta di automobili". Ribadiva il concetto: "[nelle] operazioni strategiche e tattiche l'automobilismo non potrà apportare che lievi vantaggi che chiamerei quasi di comodità". Aggiungeva: "[…] relegato in seconda linea, umile, per quanto utile, mezzo di trasporto di razioni di pane e di quarti di bue". Attento anche ai problemi amministrativi e strategici, nel 1907, partecipò al dibattito sulla difesa nazionale suscitato dalla nomina della Commissione d'inchiesta sull'esercito. Nei suoi interventi denunciò la mancata integrazione dell'esercito e della marina, la precarietà delle condizioni economiche e di carriera degli ufficiali inferiori e chiedendo, non sarà il primo, un ministero della Difesa nazionale e un Consiglio supremo di difesa nazionale. Nel 1908 scrive Il nodo della questione militare in cui chiede: "Unità di governo e la separazione delle funzioni politico-amministrative da quelle tecniche", che ripropone, approfondendolo, l'anno successivo sulla rivista “La Preparazione”. Il 1 luglio 1912 assunse il comando in seconda del Battaglione Aviatori, composto da 44 ufficiali, 23 sottufficiali e 278 militari di truppa. Il comandante del battaglione, tra l'altro, era delegato per "l'acquisto, collaudo e riparazione del materiale", oltre le vastissime problematiche che si ponevano per il nuovo organismo, per il quale non vi era nessuna precedenza esperienza. La componente aerea del Battaglione era composta da 41 Bleriot, 10 Farman, 17 Niueport e altri 12 aerei di modelli diversi. Dohuet ebbe il compito di promuoverne lo sviluppo tecnico e industriale, curare l'addestramento del personale e studiare l'utilizzazione bellica della nuova arma. L’anno successivo assunse il comando del battaglione, che tenne anche dopo la sua promozione a tenente colonnello nell'aprile 1914. Al periodo passato nel battaglione risalgono la stesura delle “Norme per l'impiego degli aeroplani in guerra” per conto dello Stato Maggiore del regio esercito e la serie di lezioni, articoli e conferenze sulle prospettive dell'aeronautica, ma anche il volumetto di sintesi “L'arte della guerra” del 1915, e la collaborazione, iniziata nell’agosto del 1914, con il quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”, su cui pubblicò, con lo pseudonimo di "Spectator" una lunga serie di commenti alle operazioni belliche che durò, con 156 articoli, fino al 26 marzo 1915. Il 7 agosto, la guerra è iniziata da pochi giorni, esagacemente sosteneva trattarsi di: "[…] una guerra che finirà per esaurimento, per stanchezza, per ribellioni di genti […] è illusione sperare che abbia una risoluzione rapida; inevitabilmente essa sarà lunga perché non potrà finire che con l'esaurimento di una delle parti". Va ricordato che all'inizio del conflitto governi, stati maggiori e pubblica opinione erano convinti che per Natale la guerra sarebbe finita. Il successivo 13 settembre dichiara: "[…] la guerra era perduta nel momento in cui fu dichiarata, checché avvenga è perduta per gli Imperi Centrali", a seguito dell'esaurimento della potenza tedesca causata dal blocco navale dell'Intesa. Si curò molto per il miglioramento del materiale in dotazione, collaborando con l'ing. Gianni Caproni, che assunse come capo dell'ufficio tecnico del battaglione dopo il fallimento della sua piccola azienda di costruzioni aeronautiche. Questa dinamica attività e l'intransigente fermezza con cui gestiva la disciplina del battaglione e i rapporti con la nascente industria aeronautica gli attirarono due inchieste successive dei generali R. Brusati e O. Ragni, che si conclusero con un nulla di fatto. Le inchieste erano nate, in particolare, dall’iniziativa di Dohuet che sempre più convinto del ruolo che l'aviazione da bombardamento avrebbe avuto nella guerra, nell’autunno 1914 si assunse la responsabilità di ordinare la costruzione del biplano da bombardamento Caproni Ca. entrando in aperta polemica con i suoi superiori, che non avevano colto le possibilità della nuova arma. La situazione di tensione creatasi alla fine del 1914 determinò il suo esonero dal comando del battaglione aviatori. Per difendere il suo operato e continuare con maggiore libertà la battaglia per lo sviluppo dell'aeronautica presentò allora le dimissioni dal servizio, che ritirò su richiesta delle più alte autorità dell'esercito, cui si era rivolto denunciando i limiti della gestione dell'aeronautica militare. Non ottenne però di tornare a prestare servizio nella nuova arma, con sua grave delusione.

Capo di stato maggiore della 5^ divisione, prima a Milano e poi al fronte, pur assolvendo onorevolmente i suoi compiti, continuò a seguire con passione le vicende dell'aeronautica, sostenendo particolarmente la necessità della creazione di una forte flotta da bombardamento con appelli e memoriali alle alte autorità politiche e militari. Promosso colonnello, rifiutò il comando di un reggimento di fanteria nella speranza di avere nuovamente responsabilità in aeronautica, ma fu invece destinato nel 1916 alla zona Carnia come capo di stato maggiore. Veniva nel frattempo stendendo note di diario intelligenti e spietate sul modo con cui gli alti comandi dirigevano la guerra italiana, con critiche spesso unilaterali ma sempre acute (note successivamente pubblicate nel suo Diario critico di guerra 1915-16, Torino 1921-22, che , malgrado il taglio fortemente polemico, costituisce una delle fonti più preziose per lo studio della guerra italiana). E queste critiche non esitava a esternare alle personalità politiche che incontrava al fronte e nelle licenze romane, stringendo rapporti in particolare con il ministro L. Bissolati, cui consegnò nel giugno 1916 una memoria sulla condotta delle operazioni assai dura verso L. Cadorna e gli alti comandi. Il 23 agosto inviò una nuova memoria sulla situazione strategica, altrettanto polemica, ai ministri Bissolati, S. Sonnino e F. Ruffini; in circostanze mai del tutto chiarite, una copia pervenne al comando supremo di Cadorna, che dispose il suo arresto il 16 settembre e il suo deferimento al tribunale militare di Codroipo sotto l'accusa di propalazione di informazioni riservate sulla guerra in violazione di precise disposizioni sul segreto militare. Nella sua brillante Autodifesa (pubblicata dopo il conflitto con i documenti contestati) sostenne di non aver commesso alcun reato passando informazioni a ministri in carica; ma era proprio questo che gli rimproverava il comando supremo, che desiderava limitare le ingerenze del governo nella condotta delle operazioni. Il 15 ott. 1916 fu quindi condannato a un anno di fortezza, che scontò a Fenestrelle sorretto dalla solidarietà della moglie amatissima e dalla convinzione assoluta di avere operato rettamente, scrivendo vivaci note sulle operazioni terrestri e aeree e il romanzo L'onorevole che non poté più mentire (pubblicato a Roma nel 1921), una acre satira del ceto politico liberale, di mediocre livello letterario. Quando Diaz assunse il Comando Supremo, fu richiamato in servizio e nominato Direttore centrale presso il Commissariato generale dell'aeronautica presso il ministero delle Armi e munizioni ( gennaio 1918) con il compito di curare lo sviluppo delle costruzioni aeronautiche e in particolare il grandioso programma per la creazione di una flotta di 3.500 aeroplani Caproni Ca. 600 da bombardamento, che avrebbe dovuto dare all'aviazione italiana la potenza distruttrice per cui egli si era sempre battuto. Senonché il programma (nella cui ambiziosa impostazione egli non aveva avuto parte) doveva rivelarsi troppo superiore alle possibilità dell'industria e dell'aeronautica nazionali e concludersi con un sostanziale fallimento; nel tentativo di portarlo avanti egli profuse le sue energie senza risparmio, attirandosi inimicizie per il suo carattere non privo di "qualche asperità" (come scriveva nel 1923 la commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra, che, dopo aver tributato un alto riconoscimento alle sue qualità intellettuali e al suo assoluto disinteresse, rilevava in lui la mancanza di "una vera e propria mentalità organizzatrice" e di "una solida competenza tecnica" sui problemi della produzione industriale, esacerbati dalla concorrenza tra le ditte interessate). Sta di fatto che il 4 giugno del 1918 egli presentò le sue dimissioni e lasciò il commissariato, chiudendo in pratica la sua carriera nell'esercito. Il Ministero gli conferì il grado di generale di brigata con effetto retroattivo dal 1917. Nell'aprile 1919 fonda un settimanale Il Dovere nel quale si dedicò a questioni militari non confinate alle teorie aeronautiche, che gli aumentarono il numero dei nemici dai quali era circondato. Si batté con virulenza affinché fossero accertate le responsabilità della rotta di Caporetto. Scrive: "L'Italia ha il diritto di conoscere esattamente lo svolgimento dell'immane tragedia".

Nel 1921 il ministero della Guerra, dopo un parere favorevole del generale A. Diaz, pubblicò a Roma l'opera più nota del D., Il dominio dell'aria, un testo di un centinaio di pagine destinato a diventare rapidamente un classico del pensiero militare moderno, conosciuto in tutto il mondo attraverso traduzioni e volgarizzazioni. Il volume si inseriva nel vivacissimo dibattito del dopoguerra, che vedeva i sostenitori delle nuove armi, dagli aerei ai carri armati, dai gas ai sommergibili, in aspra polemica contro i difensori delle strutture tradizionali degli eserciti di massa. In particolare rivendicava la straordinaria efficacia dei bombardamenti aerei con esplosivi e gas, capaci di stroncare ogni possibilità di resistenza nemica, materiale e morale; e scriveva che "per assicurare la difesa nazionale è necessario e sufficiente mettersi nelle condizioni di conquistare, in caso di conflitto, il dominio dell'aria". Ne derivava la necessità di concentrare la maggior parte, se non la totalità, delle energie nazionali nello sviluppo di un'armata aerea in grado di conquistare e sfruttare appieno la superiorità nei cieli in tutte le sue illimitate possibilità. A questo scopo il D. chiedeva la costruzione in grandi serie di due tipi soltanto di apparecchi: l'aereo da combattimento, potentemente armato con mitragliatrici e cannoncini e parzialmente blindato, per distruggere l'aviazione nemica e conquistare il pieno dominio dell'aria; e l'aereo da bombardamento, capace di trasportare 2 tonnellate di bombe a 200-300 km di distanza anche al di sopra delle Alpi, con il compito di sfruttare fino in fondo il conquistato controllo dei cieli. Gli spaventosi lutti che il bombardamento delle città nemiche avrebbe provocato non venivano minimizzati, perché una guerra brutale, ma breve, appariva preferibile alle immense perdite di una prolungata guerra di trincea, di cui era viva la memoria. Alla costituzione di un'armata aerea indipendente doveva infine essere decisamente subordinato lo sviluppo delle forze armate tradizionali di terra e di mare e delle rispettive aviazioni ausiliarie, ossia dei reparti aerei alle loro esclusive dipendenze con compiti di esplorazione e collaborazione tattica.


Tratto da: Gianni Caproni, di Igino Mencarelli, Ufficio Storico AM, 1987


Gabriele D'Annunzio

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