Il Fronte del Cielo - Aeroporti - 12.9 - Infrastrutture
Le prime aree di atterraggio furono ricavate sulle piazze d'armi, oppure in prati confinanti spesso con
caserme o in poligoni di tiro dove i militari svolgevano le proprie esercitazioni. Furono anche scelte aree
prative, rese disponibili da privati, perché troppo sassose o troppo umide per poter essere sfruttate. Una
condizione determinante era la vicinanza con una stazione ferroviaria che rappresentava una comodità
per il rifornimento. La posizione dei prati non coltivabili era molte volte ai confini dei territori comunali.
Per tale motivo quando si rendeva necessario ampliare lo spazio da adibire ad aviosuperficie si occupavano
aree confinanti, spesso amministrate da altri municipi. Di conseguenza il nome assegnato alla
base risultava essere quello della località dove aveva sede il comando del reparto. Accadeva così che
la ricognizione nemica assegnasse agli aereoporti nomi spesso diversi da quelli italiani a seconda della
distanza del campo alla frazione più vicina. Le rimesse dei velivoli chiamate «Hangar», potevano essere
classificate come di «tipo permanente» oppure «smontabile» e per aereoplani o dirigibili. I modelli di
«Hangar» maggiormente usati erano:
TIPI PERMANENTI: Modello «Centocelle». Realizzato in moduli affiancabili (fino a 6) della misura
di 25,5 m. x 18,1 m., con capriate in legno, pilastri in cemento armato e tetto in «eternit». La chiusura frontale
(sul lato corto) era rappresentata da portoni scorrevoli in legno. Le pareti esterne venivano edificate
in muratura e provviste di finestre. Non c'erano divisori interni tra i moduli e il pavimento era spalmato
di catrame. Il «modello singolo», già usato ad
Aviano ed a Mirafiori, aveva il tetto ad uno spiovente,
l'apertura sul lato lungo, le capriate in legno a triangolo retto, i piedritti in muratura e il tetto in legno.
L'apertura era divisa in tre portoni in lamiera ondulata montati su telai di ferro, che si aprivano verso
l'alto. Per i «Caproni» ne esisteva un modello modificato, il «Gioia-Bernasconi».
Il grande bombardiere
veniva ricoverato di fianco per mezzo di carrelli che scorrevano su rotaie. Per i dirigibili invece c'era il
tipo «Savigliano P/M» cui si affiancava una seconda versione di dimensioni ancora maggiori e in grado
di ospitare due aeronavi.
TIPI SMONTABILI: Modello «Mercandino». Realizzato in tela da 16 m. x 13 m. veniva assemblato con
due pali metallici scomponibili, con pali laterali e anteriori, con un cavo metallico perimetrale superiore,
una copertura in tela e 26 picchetti. Era trasportabile con un camion e 6 uomini potevano metterlo in
opera impiegando mezza giornata di lavoro. Simile al «Mercandino» era il «Sarzotto» con pareti rigide in
legno di 20 m. x 12 m. Entrambi i modelli potevano contenere un solo aereo. Altro «hangar» smontabile
era poi il cosiddetto modello «Aviazione», che si componeva di un tetto con capriate in legno e rivestimento
in tela. Misurava 20 m. x 36 m. e l'apertura era ricavata di testa sul lato corto. Le capriate poggiavano su
piedritti verticali in legno con due puntoni inclinati e con spaziatura di 4 m. Ne esistevano di due tipi. Il tipo
«A» che aveva un altezza utile di 4 m. e il tipo «B» alto 4,8 m. Il modello «Bessoneau» invece, misurava
20 m. x 28 m. per un altezza di 4,1 m. La sua forma era ad «arco inglese». Si trattava di un tendone di
750 mq fissato alla struttura con legacci. Poiché il materiale era facilmente deteriorabile doveva essere
protetto con olio di lino cotto. Tutti i tipi smontabili presentavano la chiusura frontale in tela. Tra i modelli
stranieri era diffuso sul nostro fronte il francese «Hervieu» singolo in tela. Esistevano anche altri tipi minori
di «hangar», usati solo in alcuni campi, come quello in cemento di
Campoformido, il «Fontana-Riva» di
Cavazzo Carnico o i tipi «Venanzetti» e «Annoni».
Le aree di atterraggio e decollo avevano il fondo naturale, ma non mancarono i primi esperimenti di
nastri pavimentati come quello cementato della «Caproni» a Taliedo e quelli in tavolato di Montecelio e
del Lido di Venezia. I segnali di atterraggio erano costituiti da una barra con uno o due dischi bianchi,
orientata secondo le direzioni di avvicinamento al campo. In un secondo momento comparve il segnale
a «T» ancora in uso. Era presente anche la segnalazione del vento ed altre indicazioni di tipo luminoso
per l'atterraggio notturno, costituite da fotoelettriche. Presso le aviosuperfici venivano realizzate anche
torri o punti rialzati per il servizio di vedetta, con il compito di dare l'allarme in caso di attacco. I depositi
di carburante e la polveriera erano ovviamente in posizione decentrata. Vicino alla zona di decollo o nei
pressi degli «hangar» di reparto, erano previsti dei terrapieni chiamati «parapalle» su cui prima di ogni
missione venivano provate le armi. Erano poi previste trincee vicine alle baracche per permettere al
personale di ripararsi e sparare in caso di attacco aereo. Naturalmente attorno al campo erano piazzate
molte postazioni contraeree dotate di mitragliatrici. Una postazione armata era anche all'ingresso per
contrastare un eventuale attacco da terra.
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