Il Fronte del Cielo - Gli Apparecchi - 14.2 - La Produzione
Durante la Grande Guerra il comparto aeronautico italiano passò da una produzione
praticamente artigianale, in grado di realizzare poco più di un aereo al giorno,
ad un sistema industriale completo capace di realizzare 6500 aerei l'anno che, alla
fine del conflitto era riuscito a costruire un totale di circa 11000 velivoli. Questo
grande sviluppo avvenne nello spazio di tempo compreso tra la fine del 1915 e il
1918. Si può affermare che l'industria italiana non raggiunse mai più il livello di
efficienza che ebbe in quei pochi anni. A spronarne la febbrile attività fu soprattutto
il ministro per le armi e munizioni generale
Alfredo Dallolio, coadiuvato dagli
uomini che con lui collaborarono. Nel 1911 era stato costituito lo «Stabilimento
sperimentale e costruzioni» (4° reparto). Quattro anni dopo il generale
Dallolio riorganizzò
questo organismo facendolo diventare la «Direzione Tecnica dell'Aviazione
Militare» (DTAM), con i compiti di sovrintendere, valutare e controllare la produzione
industriale. La nuova Direzione Tecnica avrebbe inoltre dovuto progettare
velivoli rispondenti alle esigenze delle forze armate e farli costruire dalle aziende
più adatte. La sede era a Torino e non poteva essere diversamente se si considera
che già all'inizio del conflitto, metà della produzione nazionale di aeroplani e fino
all'80 % di quella di motori era concentrata in Piemonte. Tra i tecnici che collaboravano
con il generale Dallolio, vi erano
Umberto Savoia che aveva le funzione di capo del DTAM,
Guido Guidi pilota collaudatore e i progettisti
Ottavio Ricaldoni e
Ottorino Pomilio. Quest'ultimo ai primi del 1916 lasciò l'incarico e fu sostituito da
Rodolfo Verduzio. Alcuni piloti furono anche incaricati di eseguire
collaudi presso le aziende che producevano i velivoli. Fra di essi
Mario De bernardi,
che dal fronte fu inviato alla Pomilio, e
Mario Stoppani che passò all'Ansaldo come
dipendente. Il rapporto di lavoro legava questi collaudatori direttamente alle fabbriche, che cercavano pertanto di aggiudicarsi le prestazioni dei migliori piloti per dare prestigio ai propri prodotti. Anche
Baracca fu più volte invitato a collaborare, ma
l'asso non volle mai accordarsi con gli industriali. Pomilio poi si era congedato per iniziare l'attività produttiva realizzando aerei e creando così una situazione delicata
dove i suoi ex colleghi diventavano poi i suoi controllori. L'industria aeronautica italiana nel 1915 produceva soprattutto aerei francesi costruiti
su licenza. La Aer di Orbassano nel torinese assemblava i Caudron, mentre la Sit, operante anch'essa nel capoluogo piemontese, si era assicurata la licenza di
produzione dei Bleriot. Questa azienda sarebbe poi confluita nell'Ansaldo. La SAML (Società Anonima Meccanica Lombarda), con sede a Monza, realizzava l'Aviatik
derivato dall'omonimo velivolo austriaco, che produsse in due modelli,
l'S1 e
l'S2. La
neonata Macchi, fondata nel 1913 da
Giulio Macchi
e battezzata Società Anonima Nieuport-Macchi, produceva nel nostro paese gli
apparecchi
Ni 10,
Ni 11 e
Ni 17. Construì inoltre
l'Hanriot che con i Nieuport rappresentò
in nerbo della caccia italiana. L'azienda, che aveva sede a Varese, fu inoltre incaricata
di riprodurre il Lohner (L40) quando questo fu catturato. Da esso la Macchi derivò
il principale idrocaccia italiano,
l'L3 rinominato poi
M3 e i tipi successivi.
La Società Italiana Aviazione (SIA) fondata a Torino nel 1916 e poi confluita
nella Fiat produsse una serie di ricognitori tra cui si ricordano il
SIA 7B e il
SIA 9B sviluppati dagli ingegneri Torretta e Carlo Maurilio Lerici.
Da quando aveva fondato la sua azienda nel 1911
Giovanni Battista Caproni,
aveva sempre cercato di inserirsi nel gruppo dei costruttori che effettuavano forniture all'esercito. Ebbe successo solo nel 1915 grazie a un progetto da lui sviluppato, il bombardiere
Ca3, che riuscì ad imporsi come un prodotto esclusivo ed efficiente.
Domenico Santoni che con la Società Costruzioni Aeronautiche poi Savoia, riproduceva i
Farman, avviò dal canto suo anche la produzione di idrovolanti con la SIAI (Società Idrovolanti Alta Italia)
replicando il velivolo anglo-francese
Franco-British-Aviation C e sviluppando poi dei modelli propri.
Anche la Fiat si dedicò alla riproduzione dei MF. Poi acquisita la SIA fabbricò
anche aerei originali. Un altro grosso gruppo industriale, l'Ansaldo si dedicò all'aviazione costruendo su licenza gli idrovolanti Sopwith. La società genovese sorta a Sampierdarena assorbì poi la Pomilio,
società creata, come abbiamo visto, dall'ex progettista della DTAM
Ottorino Pomilio. L'Ansaldo raggiunse comunque il
suo maggior successo aeronautico con l'incarico di realizzare lo
SVA, il cui progetto era stato elaborato proprio dalla DTAM.
Gli aerei più famosi che la DTAM progettò furono l'SP1 a cui seguirono
l'SP2,
l'SP3 A
e l'SP4. L'acronimo «SP» stava per Savoia-Pomilio, dai nomi dei due progettisti.
Il velivolo fu fatto costruire dalla Fiat, dalla SIA e poi da altre aziende. Il
disegno dell'SP fu ricavato dalla riprogettazione del Farman aumentando la potenza
del motore. Gli SP vennero usati essenzialmente come ricognitori. Il velivolo dimostrò una particolare robustezza continuando a rimanere in linea
di volo anche quando furono introdotti i più veloci SIA e
Pomilio PD. Vennero
impiegati anche per il lancio con il paracadute degli agenti del servizio informazioni
(detti missionari) aldilà del Piave. Altro compito della DTAM, fu quello di indagare
sugli inconvenienti tecnici che i reparti riferivano nell'uso del materiale di volo. Ciò
accadde ad esempio dopo le prime consegne degli
SP2 ai piloti che, dopo averlo provato,
sostenevano che tale velivolo fosse affetto da gravi difetti. Il collaudatore
Guido Guidi,
inviato dalla DTAM dimostrò invece che non si trattava di problemi tecnici, ma di
scarsa preparazione degli aviatori all'approccio con questi mezzi nuovi, più potenti
e più pesanti rispetto al
Farman su cui avevano volato fino ad allora. Per ovviare
comunque ad una lamentata manovrabilità dell'
SP2, fu realizzato
l'SP3 A con apertura
alare ridotta, e poi l'
SP4 che poteva sviluppare una maggiore velocità di salita.
Un intervento analogo si ebbe quando il SIA provocò vari incidenti fino ad essere ritirato dalla linea. Ma il progetto più famoso elaborato dalla DTAM fu lo
SVA (Savoia- Verduzio-Ansaldo) nelle varie versioni. Si trattò del primo velivolo interamente
progettato, calcolato e collaudato in Italia. Nato come caccia lo
SVA non fu però impiegato
in tale ruolo e si dimostrò invece un buon ricognitore strategico con compiti
di attacco al suolo. Era una macchina dotata di un'ottima robustezza e di una grande
longevità. Assieme al
Caproni Ca3 fu uno dei successi dell'industria Italiana.
Anche per ciò che concerne la produzione di palloni frenati, i costruttori nazionali
fecero grandi passi in avanti. I tedeschi avevano battezzato i loro aerostati
«Drakenballon» (palloni drago) disegnandone per primi la forma caratteristica. I francesi li
avevano chiamati «saucisse» (salsicce) e gli inglesi, traducendo dal francese «sausages». In Italia all'inizio si riprodusse il modello germanico e la sua costruzione continuò fino alla fine del 1917
quando Avorio e Prassone costruirono un nuovo tipo
di pallone frenato, l'
A.P., che si diffuse velocemente. Il nuovo «pallone-osservatorio
italiano [...] simile al vecchio pallone sferico con l'aggiunta di una specie di grossa
coda trilobata», fece la sua prima comparsa dinanzi a Ponte di Piave il 5 febbraio
1918. Era appunto la ditta del colonnello Avorio a costruire i Draken italiani. I
Draken erano colorati di giallo nella parte inferiore e d'argento sopra. Avevano una
forma cilindrica e dalla sezione mediana partivano numerose funi che si riunivano in
due punti chiamati «piè d'oca». Il pallone era tenuto inclinato verso l'alto e stabilizzato
da una sacca posteriore che si riempiva d'aria e da due vele laterali.
Se l'industria Italiana poteva contare sull'esperienza e sui prodotti francesi, così gli austriaci si avvalsero delle realizzazioni di quella tedesca. Come in Italia anche
in Austria all'inizio del conflitto le forze aeree avevano dimensioni ridotte allineando
solo 147 velivoli e pochi piloti, ma l'aeronautica aveva, tra i maggiori
sostenitori il capo di Sato Maggiore dell'esercito: Conrad Von Hotzendorf.
Fu lui a promuovere il primo concorso dell'esercito per gli aeroplani,
chiamando a partecipare costruttori nazionali. Tuttavia fu proprio il primo
concorso aeronautico a segnare l'inizio di una fase di stasi nello
sviluppo tecnico dei modelli, derivante dal fatto che la Lohner, sfruttando
al meglio le conoscenze ad alto livello dello stesso
Lohner, ma sopratutto
di Castiglioni, impedì ad altre imprese e costruttori di ottenere commesse
dal'esercito, almeno per l'anno 1914. I tipi di aerei principalmente in uso erano
l'Etrich Taube e l'idrovolante Lohner. Per quanto riguarda i dirigibili invece l'Austria si
limitò all'acquisto di un Parseval tedesco, che usò in maniera limitata. In un secondo tempo entrarono in linea di volo gli
Albatros B-I prodotti dalla
Phoenix, gli
Aviatik B-II, e i primi
Brandemburg B, di cui venne poi iniziata la produzione del modello
C-I, che i piloti italiani chiamavano sempre Albatros, e che
divenne l'aereo principale dell'aviazione austroungarica. Dopo i primi caccia monoplani tedeschi
(Fokker E-III), l'industria austriaca realizzò il
Brandemburg KD «Spinne»
fabbricato ancora dalla Phoenix, e quindi - nel 1916 -
l'Albatros D-III tedesco prodotto dalla Oeffag. Nel 1917 mentre continuava la produzione del
Br C-I, fu introdotto
l'Aviatik D-I (Berg) che rappresentò il massimo sviluppo dei velivoli da
caccia austriaci assieme
all'Albatros D-V e che andò a sostituire il
D-III. Nel 1918 si
diffusero anche i biposti
Phoenix C-I, o UFAG C-I e il monoposto
Phoenix D-I. Queste macchine però non raggiunsero la diffusione dell'Albatros.
Per quanto riguarda i bombardieri, l'aviazione austroungarica introdusse solo tardivamente cinque squadriglie di
Gotha G-IV costruiti su licenza. Il sistema produttivo asburgico si basava
su numerose aziende che realizzavano i mezzi necessari secondo le propria potenzialità.
Lo stesso aereo poteva essere prodotti da più aziende. Le principali fabbriche
furono prima la Phoenix che nel conflitto superò la produzione di 1000 aerei, poi la
Ufag, l'Aviatik, la Oeffag, la Lohner, la Fischamend, la Lloyd e altre minori.
La produzione aeronautica dell'impero austro-ungarico fu comunque tutt'altro
che trascurabile. Se all'inizio del conflitto poteva contare su una sola
ditta produttrice, la Lohner, alla fine del 1914 il settore aeronautico
contava già 1400 lavoratori, e alla fine della guerra sarebbe arrivato a
12000 circa. Fra l'agosto del 1914 e l'ottobre del 1918 fornì 4768 aeroplani
terrestri, 413 idrovolanti e circa 4900 motori.
Da: "Il Fronte del Cielo, di Renato Callegari e Stefano Gambarotto
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