Il Fronte del Cielo - Gli Apparecchi - 14.4 - Motori

Il tipo di propulsore più usato sui caccia italiani e francesi durante la Grande Guerra era uno «strano congegno» caduto poi in disuso: il motore rotativo. Il modello più diffuso fu il «Gnome et Rhone» con potenze tra gli 80 e 120 cavalli. In questo tipo di motore i cilindri ruotavano assieme all'elica, e l'albero motore era fisso. Questo sistema era adottato per avere un motore leggero ma con buona coppia. Per contro non avendo una lubrificazione in carter, l'olio doveva essere mescolato con la benzina, e introdotto attraverso l'albero. Dal carter la miscela alimentava i cilindri, spinta dalla forza centrifuga e aspirata dalla depressione. I cilindri erano provvisti di valvole di aspirazione automatiche, e quindi le molle di contrasto dovevano essere regolate con precisione in modo che la forza centrifuga non ne ostacolasse l'apertura durante l'aspirazione. Il risultato era un motore che consumava molto olio (che era a perdere), ma era leggero e abbastanza affidabile nonostante i possibili ingolfamenti. Inoltre imbrattava la parte inferiore dell'aereo aggravando il pericolo di incendio qualora questo fosse stato colpito. Aveva poi problemi di vibrazioni che innescavano pericolosi cedimenti alle strutture e coppie giroscopiche eccessive che impedivano di manovrare con libertà. Questi motori raggiunsero presto i 130 cv, che era il massimo della potenza ammissibile, e per le potenze superiori, gradualmente si adottarono i propulsori tradizionali con cilindri in linea o a «V» raffreddati ad acqua. Il motore rotativo fu usato anche dagli inglesi sul «Camel». Si trattava del «Clerget» da 130 hp, mentre i tedeschi impiegarono un rotativo da 100-110 hp «Oberusel» principalmente sui caccia Fokker monoplano ((E-III)) e triplano (DR-I). Come detto l'Italia sviluppò poi motori in linea a 6 cilindri, come l' «Isotta Fraschini» o lo «SPA» con potenze tra i 200 e i 270 hp. Questi vennero usati sopratutto sui «Caproni» da bombardamento e sullo «SVA». Fu però il «Fiat A12» ad essere installato sulla maggioranza dei ricognitori. Derivato dall' «A10» da 100cv, esso forniva una potenza di 270-300hp. e permetteva ai «SAML» e ai «Pomilio» di volare ad una velocità tale da sfuggire ai caccia avversari. Gli austro-tedeschi potevano contare su un motore a 6 cilindri in linea che fu considerato il migliore di tutti sia per l'affidabilità che per le prestazioni: Il «Mercedes» con potenze da 130 a 180 hp. Oltre a questo gioiello furono usati anche gli «Hiero», che erano una copia modificata, del «Fiat A12». Una citazione particolare merita l'«Hispano Suiza» 8 cilindri a «V» montato sullo «SPAD», che fu creato appositamente per questo aereo, e divenne una formula canonica per i motori da caccia del dopoguerra.

L'industria nazionale si limitò all'inizio a riprodurre i propulsori francesi Gnome et Rhone rotativo e Anzani. La Fiat però aveva già avviato la sperimentazione di nuovi propulsori che portarono alla creazione dell'Fiat A12 da 200/250cv. Esso costituì il motore fondamentale della produzione italiana. L'azienda realizzò poi anche il potente Fiat A12 da ben 700cv. L'Isotta Fraschini e la SPA realizzarono anch'esse buoni motori installati sui Capronie sugli SVA, che si rivelarono molto affidabili. La SCAT (Società Ceirano Automobili Torino) riprodusse il motore Hispano Suiza per il velivolo Spad, senza però riuscire mai a garantire una sufficiente qualità, al punto che le squadriglie per i ricambi chiedevano espressamente di poter avere quelli originali francesi. L'industria italiana passò da una produzione motoristica di 606 esemplari l'anno del 1915 a 14820 nel 1918, per un totale di circa 24400 motori costruiti durante tutto il conflitto.


Da: "Il Fronte del Cielo, di Renato Callegari e Stefano Gambarotto

 


 
Produzione Armamento

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CLERGET 9B 130 HP




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OBERUSEL 100-110 HP




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FIAT SPA 6A




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ISOTTA FRASCHINI 250 HP




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FIAT A12




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FIAT A10




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HIERO 6




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HISPANO SUIZA 8




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FIAT A14




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CAPRONI CA.450




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ANSALDO S.V.A.

La serie dei velivoli SVA segna una pietra miliare per la tecnica aeronautica italiana con il passaggio dalla fase empirica al calcolo su precise basi scientifiche delle caratteristiche aerodinamiche e strutturali dell'aeromobile. Con lo SVA si giunse infatti a determinare sulla carta quali sarebbero state le caratteristiche dell'esemplare realizzato. Come ricognitore e bombardiere leggero fu insuperato, ed ammirato anche dagli avversari. La progettazione del nuovo aereo impegna, nell'estate 1916, gli ingegneri Umberto Savoia e Rodolfo Verduzio, con la collaborazione dell'ingegner Celestino Rosatelli. Nel dicembre 1916, al cantiere di Borzoli Mare cominciava la costruzione del primo esemplare, che differiva dal progetto originale per una diversa forma degli impennaggi e per l'adozione di un radiatore frontale unico. Il primo SVA venne trasferito da Borzoli al campo di Grosseto, dove, con l'allora sergente Mario Stoppani ai comandi, si staccò per la prima volta da terra il 19 marzo. Nell'estate, i primi esemplari venivano collaudati dai piloti militari. Ne emergeva un giudizio negativo sulle qualità manovriere dello SVA, anche se la sua velocità risultava ben superiore a quella dei caccia alleati Hanriot HD.1 e Spad S.VII. Alla luce di queste considerazioni, la D.T.A.M. e l'Ansaldo presero in considerazione l'opportunità di utilizzare lo SVA come aereo polivalente, adattandolo al bombardamento e alla ricognizione.




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SOPWITH CAMEL




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FOKKER E-III




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MOTORE GNOME ET RHONE 80 CV




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