La Grande Guerra Aerea - 4.7 - 1917 - l'impresa di Cattaro
Nel febbraio del 1918, D'Annunzio sarebbe stato tra i protagonisti della «Beffa di Buccari», impresa che poi contribuì a magnificare con la sua arte. Il grande poeta però, aveva in precedenza partecipato ad un'altra ardita azione se possibile ancora più rischiosa. Si trattava di un'incursione aerea su Cattaro , la munita base navale austro-ungarica posta sulla sponda orientale dell'Adriatico. La possibilità di attaccare dal cielo la base navale montenegrina venne presa in seria considerazione dai comandi italiani dopo che il primo ciclo di incursioni su Pola aveva dimostrato la fattibilità di questo genere di operazioni. Il 28 agosto 1917 l'Ufficio Servizi Aeronautici presento il "Progetto di massima per una azione sulla costa nemica da Gioia del Colle", in cui anche se Cattaro non beniva nominata tuttavia il riferimento era esplicito. Il progetto fu avviato nei primi giorni di settembre con la selezione degli equipaggi e la costruzione di un sistema di segnalazione sulla costa pugliese di auslio per la navigazione aerea. Il bombardamento fu effettuato dal cosiddetto «Distaccamento AR» così chiamato in onore del suo comandante, maggiore Armando Armani con equipaggi di volontari selezionati e quattordici trimotori. D'Annunzio richiese di partecipare e il Generale Cadorna esuadì prontamente la richiesta. Le due squadriglie che costituivano il Distaccamento AR furono poste al comando del Cap. Maurizio Pagliano e Leonardo Nardi. La mission comportava grossi rischi, soprattutto a causa della grande distanza da compiere per raggiungere l'obiettivo: 400 chilometri di mare aperto che dovevano essere percorsi di notte, orientandosi solo con le bussole e le stelle. Gli equipaggi che vi presero parte sarebbero stati ricordati come i «Corsari di Puglia». I 15 trimotori destinati all'azione, decollarono da Taliedo il 24 settembre del 1917 e, dopo uno scalo a Roma, presero terra a Gioia del Colle il 25. L'attacco fu rimandato di alcuni giorni per il ritardo nell'arrivo del munizionamento di caduta e per il maltempo. A bordo c'era anche il corrispondente del Corriere della Sera Guelfo Civinini che era riuscito ad imbarcarsi con una scusa. La sera prima della partenza così aveva detto D'Annunzio agli equipaggi: «[...] ma giova ricordare che anche nelle bocche di Cattaro, anche in quel munito labirinto marino, come tutta la costa dalmatica, respira pur sempre la grandezza della Dominante. Alla caduta della Repubblica i cittadini di Perasto celarono il gonfalone Veneto sotto l'altar maggiore del Duomo, consacrandolo alle rivendicazioni future, in cui pur credeva la loro fede dolorosa. E' certo che nella notte di vittoria, il segno dissepolto del leone alato, voi lo sentirete riagitarsi al rombo delle vostre ali». Il 4 ottobre, dopo una serie di rinvii dovuti al maltempo fu finalmente deciso di dare il via all'operazione che scattò alle undici di sera con i decolli distanziati di 4 minuti. Tutti i 14 Caproni riuscirono ad arrivare isolatamente sulle Bocche di Cattaro ad eccezione di due velivoli che furono costretti ad invertire la rotta per noie ai motori dopo circa un ora di volo. I velivoli concentrarono il loro carico sullo'approdo dei sommergibili e delle torpediniere di Kumbur. Il puntamento fu piuttosto difficile a causa della visibilità che andò progressivamente peggiorando. I velivoli sganciarono complessivamente tre tonnellate e mezzo di granate-mina. I bombardieri italiani riuscirono tutti a sfuggire al violento ma poco efficace fuoco antiaereo avversario. La missione durò in media quattro ore. Un resoconto della missione fu compilato da D'Annunzio che scrisse: " Presa la rotta marina con un allineamento di 51°, passammo sul settimo gruppo di siluranti alle 11.37 a una quota di 2200 metri. I proiettori di bordo erano visibilissimi ma in seguito non ci fu possibile scorgere le segnalazioni del VI Gruppo né quelle degli altri. Alle 12.45 avvistammo la costa, attraverso strati bassi di cirri che da prima ci diedero l'impressione di trovarci su l'arcipelago. Ma, poco dopo, alle ore 1.15 riconoscemmo la Punta d'Arza. Invece di contornare a levante la penisola per trovare la depressione che è fra Traste e Teodo, preferimmo di risalire la costa fino a Lustica. La sorpresa del nemico era evidentissima, perchè i poiettori tardarono ad accendersi e non ci cercarono. Gettammo le prime due bombe su Porto Rose, le altre su Kumbur, e seguimmo gli scoppi e le fiamme. La baia di teodo era in parte celata da nubi, alle ore 1.32, mentre riprendevamo la rotta del ritorno, con un allineamento di 218°, passando sopra Zabardje e Porto Zanjica. Fu allora che partì qualche colpo da una batteria antiaerea che ci parve situata sull'Obstnik. Anche nel ritorno non ci fu possibile scorgere le segnalazioni dei gruppi di siluranti; e deviammo ad austro, verso Brindisi. Poi risalimmo la costa verso borea, giovandoci dei fuochi indicatori Coston rossi. Avvistati i proiettori di Conversano, potemmo pur nella foschia atterrare felicemente sul campo."
D'Annunzio raccontò ciò che accade in quell'epica giornata anche nel suo scritto "Il fegato e l'avvoltoio", utilizzando materiale che il poeta aveva appuntato sui piccoli fogli di due taccuini durante il volo. Dell'impresa resta anche la cronaca che Guelfo Civinini pubblicò sulle pagine del Corriere. Gli apparecchi fecero ritorno a Gioia la mattina del 5 ottobre. Solo quello pilotato dal tenente Pallavicino dovette prendere terra al Gargano, nei pressi di Manfredonia, per mancanza di carburante. Nessun velivolo era andato peruto e questo, che confermava la fattibilità dell'operazione, era forse il risultato più importante dell'operazione. Più difficile valutare gli effetti materiali del bombardamento che in ogni caso non dovettero essere particolarmente rilevanti anche se fonti austriache confermano che qualche bomba cadde effettivamente sulle installazioni della base navale e qualche altra su Antivari.
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