La Grande Guerra Aerea - 5.7 - 1918 - Epilogo
Il 31 ottobre il successo delle armi italiane divenne travolgente su tutto
il fronte dal Brenta al mare. Tuttavia le condizioni meteorologiche, già
tutt'altro che ottimali, peggiorarono a tal punto che il 31 ottobre
l'attività aerea si ridusse a ben poca cosa. Sul fronte della 4^ armata e su
quello della 3^ furono ancora possibili alcune ricognizioni e un paio di
sortite di collegamento con i reparti lanciati all'inseguimento degli
austroungarici. La massa da caccia riuscì a compiere qualche azioni di
mitragliamento sulla strada Pordenone-Casarza pagando il consueto pedaggio
al disordinato, ma efficace fuoco da terra. Uno
SPAD della
71^ e due della
91^ squadriglia raggiunti in punti vitali da pallottole di fucile o di
mitragliatrice, atterrarono dietro le linee avversarie. Il 1 novembre il cedimento delle forze austro-ungariche aprì la via dell'Agordino e del
Cadore. Una formazione di 7 velivoli del VII Gruppo riuscì a piombare sulle lunghe file di carriagi e camion sulla strada Arsìè-Primolano-Grigno mentre
la massa da caccia intervenne invece con decisione sulle vie della ritirata del Gruppo Boroevic, tra Portogruaro, Concordia, Cordovado e Latisana. Quasi
tutti i velivoli furono colpiti ed uno
SPAD della
77^ non rientrò al campo.
Nel primo pomeriggio 9
Ca.3 del XIV Gruppo tentarono di raggiungere i ponti
di Latisana, ma soltanto 3 arrivarono sull'obiettivo, colpendo il ponte
ferroviario e quello stradale. Tre
Ca.5 della
6^ squadriglia riuscirono
invece ad arrivare sul Tagliamento per sganciare 1296 chilogrammi di bombe
sulle truppe. Sulla zona di Latisana si presentarono nel pomeriggio a volo
radente anche 10
SVA del XXII Gruppo. Il tempo era in deciso peggioramento
con condizioni sempre più proibitive di volo e l'attività delle squadriglie
d'armata fu minima se non addirittura nulla. Fu un pilota della 7^ armata,
il capitano Marinello Nelli della
74^ squadriglia, a rivendicare l'ultima
vittoria aerea dell'aviazione italiana, abbattendo un velivolo
austro-ungarico nel cielo di Carisolo, allo sbocco della Val di Genova. Come
già era avvenuto durante la
battaglia del Solstizio
, gli ordini impartiti
dal Comando superiore d'Aeronautica nell'imminenza dello scontro finale
furono mirati a consolidare innanzitutto la superiorità aerea già da tempo
acquisita. Questo risultato venne subito raggiunto e già il 29 ottobre
l'aviazione austro-ungarica uscì totalmente di scena. Il controllo del cielo
conquistato dalle pattuglie della massa da caccia in crociera lungo il
fronte e all'interno delle linee avversarie aprì la strada alle squadriglie
di corpo d'armata che furono così in grado di svolgere con la collaudata
efficacia il servizio d'artiglieria, rilevando i bersagli da battere e
aggiustandovi il tiro nelle prime fasio della battaglia, per poi dedicarsi
alla ricognizione e al collegamento con le truppo dopo lo sfondamento. L'euforia che accompagnava quei momenti di vittoria contagiò in un attimo anche i cieli e spinse molti piloti ad abbassare la guardia lasciandosi andare a
imprudenti manifestazioni di tripudio. Una di queste costò purtroppo la vita al tenente
Gino Suali della
72^ Squadriglia. Il giovane tenente, che aveva 27 anni, stava salutando le truppe italiane che avanzavano e non si accorse di stare volando a una quota troppo bassa. Urtò rovinosamente contro il tetto di una casa a Magrè, una frazione del comune
di Lavarone nella provincia di Trento. Era di ritorno da una missione di mitragliamento. Fu estratto dai rottami del suo velivolo e portato all'ospedale da campo 102 dove morì alle 15.30. Il giorno prima alle 15 e 20 del pomeriggio presso
Villa Giusti nel padovano, le delegazioni italiana e austriaca avevano siglato l'armistizio. Il documento prevedeva che le ostilità cessassero entro 24 ore. Quel 4 novembre dunque,
Gino Suali si spense soltanto una manciata di minuti prima che la guerra finisse. La sera del 5 novembre sulla porta della mensa ufficiali della
91^ Squadriglia ospitata presso la
casa della famiglia Corrent a Quinto si presentò un uomo trasandato e sporco che indossava un pastrano austriaco. Era il comandate della formazione
Pier Ruggero Piccio, abbattuto nei giorni precedenti e scomparso. Dopo un attimo di comprensibile stupore, i suoi ufficiali gli si fecero intorno festanti.
Piccio raccontò che dopo la cattura, era stato riconosciuto. Gli austroungarici lo avevano rinchiuso nel carcere di Villach. L'offensiva italiana che stava mettendo al tappeto la macchina militare della duplice monarchia aveva però prodotto un
tale sbandamento tra le linee avversarie da permettere al pilota italiano di fuggire approfittando del caos assoluto che si era generato.
Piccio era scappato da Villach ed aveva superato le ormai evanescenti linee di combattimento. Si era spostato sempre a piedi, percorrendo circa un centinaio di chilometri, fino a raggiungere Udine ormai liberata. Lì era salito a bordo di un
mezzo italiano diretto a Treviso. Il comandante dell'intera Massa da Caccia italiana, forte della sua autorità, avrebbe potuto ordinare a un qualsiasi veicolo di cambiare strada per farsi trasportatore fino a
Quinto. Non
Piccio però. Non era nel suo stile. Egli preferì dimostrare fino in fondo a sé stesso e ai commilitoni la propria tenacia. Giunto a Treviso, ringraziò gli autisti e si incamminò di nuovo a piedi verso
Quinto.
Negli ultimi giorni di guerra il tiro contraereo e la reazione di autodifesa
delle truppe austro-ungariche furono la causa della quasi totalità delle
perdite subite dall'aviazione italiana, in tutto 7 ricognitori, 3 SVA, 11
caccia e 3 bombardieri con 16 caduti e 7 feriti. Di contro gli aviatori
italiani rivendicarono l'abbattimento di 34 aeroplani e la distruzione di 11
palloni aerostatici.
Il 4 novembre 1918, le forze armate italiane contavano in linea 1683 aerei. Allo scoppio delle ostilità, il 24 maggio 1915, il loro numero era di soli 102 fra esercito e marina. 131 Ad essi andavano aggiunti 34 palloni frenati e 20 dirigibili. Durante la guerra, il sistema industriale del nostro paese fu in grado di realizzare circa 11.000 velivoli, 24.000 motori e 30.000 eliche. Alla produzione nazionale andavano poi aggiunti gli apparecchi acquistati in Francia. Furono formati 5100 piloti, 500 osservatori, 1000 mitraglieri e 5000 operai specializzati. Al termine del conflitto inoltre vi erano altri 8000 uomini tra piloti, mitraglieri e operai ancora in formazione. In tutto le nostre forze aeree impegnarono circa 23.000 aviatori. Furono abbattuti approssimativamente 760 aerei con una perdita di 380 velivoli in combattimento e di 1400 a causa di incidenti. Vennero prodotte anche 1300 macchine fotografiche e 1200 installazioni radio. La difesa antiaerea con 1500 ufficiali e 33500 soldati, posizionò 516 cannoni specifici oltre a 600 pezzi adattati per questa nuova esigenza. Schierò inoltre 1100 mitragliatrici e predispose 700 posti di vedetta, 420 postazioni con aerofoni e 210 fotoelettriche. Con questa struttura essa riuscì abbattere circa 130 aerei avversari..
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