Il Fronte del Cielo - La Caccia - 6.3 - Francesco Baracca

Stendere in poche righe una semplice biografia di Francesco Baracca da inserire in queste pagine avrebbe un'utilità relativa. I tratti essenziali della sua vita sono noti ai più e comunque facilmente reperibili. Più interessante è invece approfondire i tratti della personalità di un uomo che fu l'Asso degli Assi della nostra aviazione. Il suo nome è assurto a una dimensione mitica e il ricordo di questo aviatore è ancora oggi vivissimo nei luoghi dove ha vissuto. Quando le incursioni austriache si facevano minacciose ed i caccia della 91^ prendevano il volo, di bocca in bocca, tra la gente timorosa, circolava la frase rassicurante: «..riva lù». Arriva lui: Francesco Baracca. Nel comune sentire, l'aeroplano era allora una macchina fantascientifica, in grado di portare la morte a grandissima distanza dai fronti di combattimento fin dentro le case della gente comune. In lui le persone vedevano dunque il difensore e il «salvatore», quando trepidavano per le continue incursioni notturne che non permettevano di riposare. Le sue gesta ingigantite dalla stampa lo trasformarono ben presto in una fonte di ispirazione per gli altri piloti e un simbolo di sicurezza per le persone comuni. Francesco Baracca giunse per la prima volta a Istrana in occasione della battaglia dell'Ortigara (6 giugno 1917 - 2 luglio 1917) quando prese il comando della 91 squadriglia formata un mese prima a Udine con i migliori piloti della 70^. Dal primo combattimento, sostenuto il 7 settembre del 1915, erano già passati quasi due anni. L'allora capitano Baracca, «asso» con 5 vittorie riconosciute dal novembre del 1916, aveva già 13 successi nel suo carniere. Durante quel mese di permanenza a Istrana non aggiunse però nessun altro abbattimento alla lista dei suoi successi, eccezion fatta per un aereo avversario danneggiato l'8 giugno. L'attività fu comunque intensa e Baracca - per la prima volta comandante di reparto - si ritrovò a dover familiarizzare con questo ruolo del tutto nuovo. A Pezzan l'ormai famoso pilota andava da un certo Giacomini, a farsi riparare i piccoli guasti che a volte affliggevano la motocicletta con cui si spostava e per la quale, da buon sportivo, nutriva una vera passione. A Trevignano invece consumava i suoi pasti alla Trattoria «Zanella». Frequentava anche Musano con il suo attendente per procurarsi il latte alla casa della famiglia Martignaghi, al punto che un bambino di nome Arduino, che veniva spesso preso in braccio dall'eroe, fu soprannominata «Baracca».  Ritornò nel trevigiano l'11 marzo del 1918 per vivere i suoi ultimi 100 giorni e morire a trent'anni durante la «Battaglia del Solstizio». Baracca amava i cavalli, la musica, la motocicletta e naturalmente il volo. Come tutti i ragazzi di buona famiglia studiò in collegio. A scuola era diligente anche se non disdegnava eccezionalmente farsi aiutare per superare qualche difficoltà. Manteneva un rapporto personale quasi esclusivo con la madre a cui scriveva praticamente ogni giorno. Era però sostenuto anche dal padre nelle sue scelte professionali, anche quando quest'ultimo non le condivideva. Cosciente della sua posizione sociale tenne sempre un comportamento educato e signorile, senza mai eccedere in nulla. Anche le sue avventure sentimentali furono riservate e quasi segrete. Dopo il collegio intraprese la carriera militare, diventando un perfetto «Signor Ufficiale». Venne premiato come primo classificato alla scuola di cavalleria e il riconoscimento gli fu consegnato dal veneto conte Giorgio Emo Capolista. Dentro di lui c'era però anche un altro Francesco, con un animo rivoluzionario e un po' birichino, massone, liberale e progressista che mal sopportava gli abusi di potere e l'opportunismo. Si circondò di piloti spesso audaci e scapestrati, inclini alla goliardia fino al limite dell'estrosità di Guido Keller, ma che davano sempre il massimo. Le sirene della grande industria che aveva interesse nelle forniture militari tentarono spesso di sedurlo al pari di molti suoi colleghi meno famosi, invitandolo a stringere con essa rapporti più stretti e diretti. Baracca se ne mantenne sempre lontano. Sportivo, atletico e di carattere taciturno, questo grande aviatore probabilmente non riusciva a considerarsi un comandante nel senso più burocratico del termine ma comunque svolgeva il proprio compito con serietà e precisione, benché gli impegni di ufficio rappresentassero un chiaro ostacolo all'attività di volo. Sensibile e modesto sapeva motivare e coinvolgere i propri piloti più con la sua personalità che con l'autorità del grado. In azione era determinato e si impegnava tenacemente per raggiungere l'obiettivo. Fu comunque la sua cavalleria nei confronti del nemico a costituire l'elemento che colpì di più l'immaginario popolare consegnandone la figura alla storia dell'aviazione Italiana. L'immagine di combattente senza macchia e senza paura prese il sopravvento sulla sua semplicità di uomo. Baracca era cosciente come tutti gli altri piloti che in qualsiasi momento la vita comoda del campo poteva mutarsi in un inferno durante le missioni di volo. Il 15 novembre 1917 partendo da Padova, a 4000 m. sopra Istrana, ebbe un drammatico combattimento che si concluse in modo impressionante. Il velivolo del pilota austriaco che gli si contrapponeva fu avvolto dalle fiamme e l'uomo si gettò ne vuoto per evitare di morire bruciato. Non era la prima volta per Baracca che un duello aereo nel quale era coinvolto conosceva un epilogo così tragico. E' da queste esperienze che in lui nasce il timore del fuoco a bordo che poi farà ipotizzare ad alcuni che egli si sia suicidato per non restare vittima delle fiamme. Nonostante questo, non si tirò mai indietro. L'uso dei proiettili traccianti però lo preoccupava e lo metteva a disagio. Lo scrisse alla madre il 1 agosto del 1917: «Le pallottole con scia luminosa che adoperiamo non dovrebbero comunicare il fuoco alla benzina, viceversa questo succede spesso, ed è un fatto molto impressionante veder bruciare un aeroplano a tremila metri e gli aviatori che si gettano nel vuoto, come sempre accade e sto pensando di non adoperale più perché è già il terzo cui faccio fare questa fine».  A Quinto si era sistemato con gli ufficiali presso Villa Borghesan. Baracca raccontava alla madre di trovarvisi molto bene e vi aveva portato anche il suo cavallo. Aveva infatti ricominciato a montare facendo lunghe passeggiate. La Battaglia del Solstizio, fu per lui un periodo cruciale. Non scriveva più alla madre e la tensione continuava a salire fino alla sera di quel fatidico 19 giugno, quando dopo la burrascosa telefonata con il generale Bongiovanni decollò per il suo ultimo volo.


Immagine: Francesco Baracca
Gli Assi e le Tecniche della caccia I Gregari di Baracca

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LA SQUADRIGLIA DEGLI ASSI




La 91ª Squadriglia possiede una caratteristica che la rende forse unica nella storia delle forze aeree di tutto il mondo, giacché Francesco Baracca ebbe il privilegio di poter scegliere uno per uno “I SUOI” uomini. Nell'esercitare tale indubbio privilegio, l'asso romagnolo cercò negli altri aviatori quelle stesse caratteristiche di eccellenza quale uomo, soldato ed aviatore che pure lui possedeva. Baracca, era un professionista serio ed equilibrato, ben lontano da tronfi fanatismi ed animato da grande rispetto per i suoi stessi nemici. A tal fine conviene ricordare come la contessa Paolina Biancoli, sua madre, avesse definito in una lettera gli aviatori austriaci "birbanti". Baracca la riprese pregandola di non chiamarli in quel modo, giacché lui li considerava semplicemente dei soldati che compivano il loro dovere nei confronti del loro paese. In un esercito allora fortemente strutturato in senso gerarchico, si curava poco anche dei gradi, conscio come era che in aria non contasse la presenza od il numero delle stelle da ufficiale sulle maniche. In questo fu simile al suo grande amico Pier Ruggero Piccio, suo superiore quale comandante del X Gruppo ed Ispettore della Caccia e futuro primo Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica quale Arma indipendente. La figura di Piccio a rigor di logica esulerebbe dalla trattazione poiché l'ufficiale romano non faceva parte della 91ª ma la sua storia è talmente legata ad essa che davvero non si può prescindere dal citarlo. Piccio univa un'enorme competenza ad un carattere focoso che lo rendeva pronto alla lode ed al biasimo senza riguardo alcuno al grado dell'interlocutore. Gli aviatori della 91ª erano uomini con storie, provenienze e caratteri diversi, uniti come si è detto dalle non comuni abilità nell'arte del volo e del combattimento aereo. Fra loro, e solo per citarne alcuni, si possono ricordare figure come Fulco Ruffo di Calabria, di nobilissima famiglia del Mezzogiorno, il padre dell'attuale Regina dei Belgi, che pure mai fece pesare il suo rango e rimase al suo posto scontando l'impegno con una grave forma di esaurimento fisico, assumendo anche la guida del reparto dopo la morte di Baracca. Al fronte rimase pure il fiorentino Nardini, che con i suoi 35 anni avrebbe pure potuto avere un incarico nelle retrovie, magari egualmente impegnativo ma meno rischioso. Lontano dal fuoco a lungo venne invece costretto dalla propria abilità di collaudatore De Bernardi, che poi ebbe modo di mettersi in luce dopo la guerra conquistando diversi record aviatori e che pure pilotò il celebre Campini Caproni, il primo velivolo a getto progettato e prodotto in Italia. Campano come Ruffo era Gaetano Aliperta, che gravemente ferito in uno scontro poco prima di Caporetto, affrontò una dolorosa marcia pur di sfuggire all'avanzata austriaca e tornare a combattere. Vi erano nella 91ª uomini come Ranza, che raggiunse nella maturità il grado di generale continuando a volare e fuggendo come il diavolo scartoffie e mene politiche, o Costantini, che in un’epoca di preparazione empirica aveva una solida conoscenza tecnica e dopo la guerra si diede alle corse automobilistiche, vincendo gare come la Targa Florio. D'Urso invece, un siciliano schivo e taciturno, passava ogni attimo del suo tempo libero allo studio del moto perpetuo. In aria era un acrobata estroso ed abile, capace di stupire i pur esperti compagni di squadriglia. Si è detto come Baracca badasse al sodo dei suoi uomini, curandosi solo che compissero al meglio il loro dovere e senza badare ad altro. Nulla meglio della figura di Guido Keller illustra tale fondamentale aspetto della personalità del cacciatore lughese. Keller era un futurista e di lui si disse che riusciva a coniugare in sé Gabriele d'Annunzio e San Francesco. E' difficile riassumere in breve una personalità tanto complessa, ma basti dire come gli aspetti più palesi della sua bizzarra personalità fossero il regalare denaro anche a perfetti sconosciuti e l'abitudine di girare nudo per il campo di aviazione. Sempre nudo nuotava in un torrente nei pressi, giocando quando capitava come diceva lui, al “satiro ed alle ninfette" con le donne che in quelle acque lavavano i panni. Se le ragazze, che lo conoscevano, stavano al gioco e fuggivano ridendo e dandosi la voce, il parroco del paese vicino mostrò di non gradire il turbamento del suo gregge e Baracca dovette intervenire. Giacché Keller, tanto era eccentrico a terra anche per una mentalità più aperta quale la nostra, quanto era preciso in volo. Non solo era maestro nel condurre a termine efficaci ricognizioni fotografiche, tenendo l'aereo dritto a quota ed a velocità costanti in mezzo alla contraerea più violenta ma verificava personalmente il proprio aereo prima del volo, "controllando i bulloncini” sempre nelle sue parole. A Keller si deve fra l'altro l'idea del Grifone quale insegna della Squadriglia e la vicenda ci mostra come Baracca oltre a grandi qualità di pilota e di soldato, possedesse precipue doti di leader, curandosi anche del morale dei suoi uomini. Dopo la ritirata oltre il Piave conseguente ai tristi giorni di Caporetto, in cui la 91ª aveva perso due piloti molto amati, l'asso Giovanni Sabelli ed il tenente Enrico Perreri, Baracca provvide a portare i suoi aviatori al ristorante “Lo Storione”, uno dei migliori di Padova. In quell'occasione i piloti presero a discutere quale stemma avrebbe potuto avere il reparto ed alla proposta di Keller per questo mitico animale, simbolo della forza in terra ed in aria, Baracca accordò la sua preferenza. Lo spirito di corpo forgiato dall'aviatore romagnolo fu fortissimo, tanto che gli uomini della 91ª continuarono negli anni ad incontrarsi nel ricordo del loro comandante. Baracca aveva scelto i suoi compagni in maniera tanto oculata che alla fine del conflitto, ben 11 dei 42 assi dell'aviazione del Regio Esercito avevano militato nelle fila della 91ª ed il Grifone passò poi a rappresentare la specialità della Caccia nello stemma dell'Aeronautica Militare, mentre la tradizione di eccellenza continuava fino ai giorni nostri.(Articolo di Paolo Varriale, Rivista Aeronautica , 2005)

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70^ SQUADRIGLIA CACCIA

L'Unità nasce il 15 aprile 1916 sul campo di Santa Caterina di Udine. La linea di volo è composta da otto biplani Nieuport. All'alba del 16 maggio la squadriglia intercetta una dozzina di velivoli austriaci reduci da un incursione su Udine. I piloti erano Tacchini, Baracca, Olivati e Bolognesi. ...




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GUIDO KELLER 1892 - 1929

Asso della nascente aeronautica militare italiana, eroe pluridecorato durante la grande guerra, il barone Guido Keller von Kellerer, insofferente di ogni conformismo e compromesso, visse gagliardamente ogni momento della sua vita breve ma intensa, precocemente interrotta da un incidente stradale. Patriota e irredentista, sensibile alle suggestioni delle piu' dinamiche avanguardie del Novecento, e in particolare del futurismo, fu uno fra i protagonisti dell'impresa fiumana al fianco di Gabriele D'Annunzio e raggiunse fama internazionale quando, per protestare contro il trattato di Rapallo che precludeva l'annessione della citta' adriatica all'Italia, scaglio' dal suo aereo un pitale in ferro smaltato contro Montecitorio dopo un'avventurosa trasvolata sulla capitale. Al manico era legato un mazzo di rape e di carote, con un nastro rossoi e la scritta: 'Guido Keller, ala azione nello splendore'. Sul Vaticano aveva invece lanciato una rosa bianca, con una dedica a Frate Francesco, mentre sul Quirinale fece piovere sette rose rosse, offerte in dono alla Regina e al popolo d'Italia. Come pilota era sempre il primo a levarsi in volo e nella cabina di pilotaggio del suo aereo, aveva biscotti e un servizio da te'. Un vero e proprio dandy, cone la sua genialita' e stranezze: quella di tenere con se' un asinello che batezzo' 'Camillino', o quello di rimanere in silenzio quando aiutava le famiglie in difficolta'. I colleghi lo avevano soprannominato Frate Francesco, ma lui girava nudo per il campo d'aviazione e alle brande delle caserme preferiva un albero o una grotta. Era un futurista, tanto eccentrico a terra quanto coraggioso nei cieli con il suo asso di picche. Controllava tutti i bulloncini del suo areo e non si separava mai da un'aquila delle Alpi Dinariche che aveva addestrato con certosina pazienza e chiamanta come lui, Guido. Un giorno D'Annunzio, per scherzo, la fece rapire ma dovette restiturla subito a scanso di guai con il suo strano padrone. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo vide sottotenente del genio del Regio Esercito. Attratto dal mondo dell'aviazione prese il brevetto di volo civile presso il club del battaglione aviatori civili del campo di Torino-Mirafiori. Dopo l'addestramento fu assegnato con il grado di sottotenente al Corpo Aeronautico Militare, destinato ad operare sul campo di Verona, in seno alla 3ª Squadriglia. Nel febbraio 1917 venne assegnato all'80ª Squadriglia Aeroplani da Caccia, dove nel mese di maggio sfidò un collega austroungarico ad un singolare combattimento manovrato che non prevedeva l'uso delle armi, ed il cui vincitore sarebbe stato colui che per primo si fosse messo in coda all'avversario. La sfida venne accettata ed egli ne uscì vincitore, dopo di che fu scortato verso le linee italiane da una pattuglia di aerei avversari.Il 1º novembre dello stesso anno alla 91ª Squadriglia Aeroplani da Cacciacomandata da Francesco Baracca. Fu decorato con 3 Medaglie d'Argento al Valor Militare.



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LA BATTAGLIA DEL SOLSTIZIO 15 - 23 GIUGNO 1918

Nel giugno del 1918 l’Austria sferrò una nuova grande offensiva contro l’Italia, in particolare nella zona del Montello, con l’obiettivo di annientare completamente l’esercito italiano. La cosiddetta “Battaglia del Solstizio” vide grandi e terrificanti combattimenti che si protrassero ininterrottamente dal 15 al 23 giugno 1918, con gravissime perdite in ambedue gli schieramenti. Il piano di battaglia prevedeva un attacco generalizzato dall’Altopiano dei Sette Comuni al mare, in realtà si concentrò soprattutto sul Montello e sul paese di Nervesa, che ne uscì completamente distrutto. Durante il tragico scontro l’esercito italiano dimostrò nuove capacità tattiche che, unite ad un alto grado di preparazione e coesione, porteranno alla vittoria finale. L’offensiva austroungarica, probabilmente non adeguatamente condivisa e appoggiata nemmeno dallo stesso imperatore Carlo I, non ebbe buoni esiti e si concluse senza risultati apprezzabili: il declino del grande impero asburgico era ormai alle porte. La disgregazione interna dell’Impero Austroungarico si faceva sentire e, anche laddove le truppe tedesche avevano lottato con gran tenacia, scoppiarono diversi ammutinamenti: interi reparti gettarono le armi, rifiutandosi di combattere. Con la Battaglia del Solstizio per gli Imperi centrali inizia la disfatta totale che si verificherà nell’autunno dello stesso anno: la loro speranza di vincere andava lentamente spegnendosi.



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BATTAGLIA DELL'ORTIGARA
6 GIUGNO - 2 LUGLIO 1917




In quei giorni primaverili i piani dell'esercito italiano non prevedevano solamente l'avanzata sul fronte isontino, ma anche un nuovo piano offensivo nella zona dell'Altopiano di Asiago. Nonostante la controffensiva dell'estate precedente infatti, questa ampia zona di montagna era ancora parzialmente occupata dagli austro-ungarici. Le loro posizioni sulle cime meridionali del Trentino davano un grande vantaggio perché potevano controllare agevolmente tutti gli spostamenti italiani. Il Comando Supremo decise perciò di agire in modo da ribaltare la situazione. Venne formata una nuova armata (la Sesta) agli ordini del generale Ettore Mambretti il quale avrebbe guidato i 200 mila uomini alla conquista del Monte Ortigara, una cima di 2105 metri all'estremità orientale dell'altopiano tra il Veneto ed il Trentino. L'azione, considerata una delle più importanti dell'intero conflitto, venne organizzata per la metà di giugno ma da subito fu bersagliata dalla sfortuna e dai contrattempi. La controffensiva austro-ungarica sul Flondar aveva reso necessario anticipare l'attacco. In tutta fretta Mambretti organizzò le prime linee ma proprio quando stava per essere dato l'ordine (7 giugno) le piogge torrenziali impedirono l'inizio delle operazioni. Il giorno seguente una mina destinata alla linea austro-ungarica esplose in anticipo uccidendo in un istante 230 soldati italiani. Nel frattempo, la situazione sul Carso si calmò dando così l apossibilità alla Sesta Armata di prepararsi con maggiore serenità all'operazione. Mambretti però, inspiegabilmente, decise di non aspettare e il 10 giugno lanciò l'assalto all'Ortigara. Le divisioni partirono verso le pareti scoscese della montagna mentre 430 cannoni e 220 lanciabombe iniziarono a colpire le trincee asburgiche. Ma ancora una volta la sfortuna si accanì sui soldati italiani: le nuvole basse impedivano di avere una buona visuale e tutti i colpi lanciati contro le postazioni nemiche andarono a vuoto. Nonostante le richieste di interruzione da parte di alcuni ufficiali, Mambretti ordinò di proseguire nella convinzione che le bombe e le granate italiane avrebbero sortito i loro effetti. Ma larealtà fu diversa e i soldati si trovarono bloccati sul fianco fangoso della montagna e si trasformarono in facili bersagli dell'artiglieria austro-ungarica. Il 19 giugno le condizioni del tempo migliorarono nuovamente e l'attacco riprese con il supporto dei bombardieri Caproni, triplani che fornirono l'appoggio aereo necessario per l'avanzata italiana. La battaglia infuriò per una settimana ma le conquiste, ad esclusione di diversi pezzi di artiglieria e di circa mille prigionieri, furono nulle. Il 25 giugno, dopo due settimane di combattimenti durissimi, i soldati asburgici respinsero definitivamente gli assalti della Sesta Armata con l'utilizzo di lanciafiamme e di gas. La Battaglia dell'Ortigara divenne così una delle pagine più drammatiche della Grande Guerra: in 16 giorni gli italiani persero più di 25 mila uomini e alcuni battaglioni persero oltre il 70% degli effettivi.(Da: http://www.itinerarigrandeguerra.it/)

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BONGIOVANNI LUIGI 1866 - 1941

Studiò all'Accademia militare di Torino e nel 1886 fu nominato sottotenente di artiglieria, entrando poi nel Corpo di Stato Maggiore Dal 1901 al 1905 fu in Giappone con la missione militare italiana; dal 1911 al 1914 fu in Cirenaica come capo di Stato Maggiore prima della 2adivisione speciale e poi del Corpo di occupazione della Cirenaica, conseguendo una medaglia di argento al valore nello sbarco di Bengasi (19 ott. 1911) e la promozione a tenente colonnello per merito di guerra nel novembre 1912, acquistando fama di ufficiale esperto ed energico. Nel 1914-15 fu addetto militare a Berlino durante il delicato periodo della neutralità italiana. Assai apprezzato dalle autorità militari germaniche, poté nei suoi rapporti a Roma dare un quadro fedele dell'atteggiamento degli ufficiali tedeschi dinnanzi alla guerra di posizione. Nel 1915 il B., promosso colonnello, entrò in campagna come capo di Stato Maggiore del VI e poi del II corpo di armata; nel maggio 1916 assunse il comando della brigata Ancona, distinguendosi nella difesa del saliente trentino e ottenendo la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia nel combattimento di Monte Novegno (12-13 giugno 1916) e la medaglia d'argento per i combattimenti in Vallarsa (25 giugno-12 luglio 1916). Nel marzo 1918 il B. assunse il comando dell'aeronautica italiana, alle dipendenze dirette del Comando supremo, rivelando nel nuovo incarico notevoli doti di organizzatore e legando il suo nome al momento di maggior fortuna dell'aviazione italiana; pur propugnando sempre l'impiego in massa degli aerei, favorì anche imprese spettacolari come il volo su Vienna di D'Annunzio (9 sett. 1918), con il quale era legato da amicizia. Sotto il suo comando fu curato particolarmente l'addestramento dei piloti (il numero delle scuole salì da 17 nel 1917 a 30 ne 1918) e del personale di terra. Per sfruttare meglio le possibilità operative del bombardamento e della caccia, il Bongiovanni propugnò e ottenne la costituzione della massa da bombardamento e di quella da caccia. Fu intensificato il servizio di esplorazione in campo strategico e soprattutto tattico: è di quell'anno la costituzione del Gruppo I. (Gruppo Informazioni), adibito all'esplorazione del territorio nemico per più di 300 km di profondità, alla fotografia (ogni 15 giorni si fotografavano gli aeroporti nemici) e alla propaganda mediante il lancio di manifestini. Lasciato il comando dell'aeronautica nel marzo 1919, il B., promosso nel frattempo tenente generale, fu per breve tempo comandante superiore delle forze italiane nel Mediterraneo orientale, con sede a Rodi. Nel 1920 abbandonò il servizio attivo, ma nel dicembre 1922 fu richiamato in servizio e nominato governatore della Cirenaica (7 genn. 1923) col compito di realizzare la riconquista della regione. (Da www.treccani.it/enciclopedia)

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CAMPO DI ISTRANA (TV)

Il campo di Istrana della prima guerra mondiale non corrisponde a quello attuale. Presso gli austriaci esso era noto come campo di Trevignano in quanto era stato realizzato sul confine con questo comune, nella zona a nord di Istrana e a est di Vedelago. Il Battaglione Aviatori aveva ricercato in quest'area terreni da trasformare in campi di volo fin dal 1913. Il 21 giugno del 1915, il capitano Attilio Ranza fu a Vedelago per verificare alcuni siti segnalati allo scopo. L'area su cui realizzare la base venne decisa ai primi di giugno dell'anno successivo. La base era collocata a sud dei «Pilastroni» della villa Onigo di Trevignano e si estendeva fino quasi alla Postumia Romana occupando circa 60 campi trevigiani, su di una superficie rettangolare che aveva il lato maggiore di 620 metri e quello minore di 480. Il campo, che può essere considerato un tipico esempio di struttura aeroportuale dell'epoca, era provvisto di una baracca Ufficiali e di uffici di compagnia, costruiti interamente in legno, compresi i pavimenti. Vi erano poi gli hangar per i velivoli. Due accoppiati di tipo Centocelle, che misuravano 36,2 metri di lunghezza e 25,53 metri di larghezza. Erano realizzati con ritti in legno e capriate, sempre in legno, della misura di 18,1 metri. La struttura era prefabbricata con pareti sia in muratura che in legno, con il pavimento in catrame spalmato e con portoni scorrevoli sempre in legno. Vi era poi, come previsto, un terzo hangar, destinato all'alloggiamento della truppa, dello stesso tipo e dimensioni dei due precedenti ma edificato più a sud, alla prevista distanza di 18,2 metri, tale che lo spazio fra le strutture potesse agevolmente venire ricoperto per installare un quarto hangar. Era stata inoltre realizzata una tettoia chiusa a cinque elementi per il ricovero di aerei. Le strutture erano completate dal corpo di guardia con l'annesso deposito carburanti, una costruzione di forma quadrata alta quattro metri e con un lato di 7 m. e 75 cm. La prova delle armi di bordo aveva reso inoltre necessaria la realizzazione di due parapalle che si trovavano nel lato sud dell'aeroporto. Infine numerosi baraccamenti furono approntati fra gli hangar ed altre infrastrutture costruite attorno a casa Quaglia. Il campo di Istrana, a partire dal 1917, fu inserito nella rotta Torino - Pordenone, che veniva impiegata per trasferire al fronte, direttamente dalle zone di produzione, i nuovi velivoli. L'esistenza di questo aeroporto era ben nota agli austriaci com'è testimoniato dai pesanti bombardamenti di cui fu oggetto a partire dal grande scontro del 26 dicembre 1917. In quell'occasione, i cieli della Marca, fecero da sfondo al più importante combattimento aereo dell'intero conflitto sul fronte italiano. La «battaglia di Istrana» vide affrontarsi decine di velivoli italiani e tedeschi e l'eco di quell'episodio fu tale da fargli conquistare un'illustrazione di Achille Beltrame, sulla prima pagina della Domenica del Corriere, onore che spettava solo agli avvenimenti di assoluto rilievo. L'incursione dei velivoli con la croce di ferro causò sensibili danni alle strutture del campo. Andarono distrutti l'hangar che veniva utilizzato come alloggiamento per la truppa e la baracca degli ufficiali. Divenne allora chiara la necessità di decentrare gli aerei su piste secondarie per renderli meno vulnerabili a futuri, sempre più probabili, attacchi. Tra gennaio e febbraio del 1918 le operazioni di spostamento dei mezzi ebbero inizio, verso i nuovi campi all'uopo realizzati, presso Paese (S.Luca) e Quinto. Nel successivo mese di aprile l'intero campo sembrò in procinto di essere trasferito a sud della Postumia Romana e, più precisamente, sui terreni ad est della Casa Rossi. Vennero iniziati i lavori per la costruzione delle necessarie fondazioni. Verso la fine del mese gli hangar della «vecchia» base, furono mimetizzati con motivi diversi. Appare lecito ipotizzare che questi lavori debbano avere in qualche modo tratto in inganno la ricognizione austrotedesca poiché i bombardieri germanici diminuirono la frequenza dei loro attacchi su ciò che restava del campo originale per andare a concentrarsi sulle infrastrutture in corso di realizzazione a sud della Postumia Romana che, nella notte, risultavano più evidenti. In breve tempo tutte le costruzioni furono mimetizzate e stando a quanto riferiscono le testimonianze raccolte in loco, venne iniziata la costruzione di nuove strutture che fra la popolazione che viveva intorno al campo erano note come «hangar finti». La complessa serie di mascheramenti che vennero posti in atto sembra avere effettivamente dato i frutti sperati. La carta della zona che fu compilata dalla ricognizione austriaca a seguito della missione 33/998 del 26 agosto 1918, non riesce infatti più a dare una chiara collocazione al campo di Istrana il cui posizionamento in precedenza era perfettamente noto. Su Istrana operarono anche reparti inglesi e squadriglie italiane da ricognizione.




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