Il Fronte del Cielo - La Caccia - 6.3 - Francesco Baracca
Stendere in poche righe una semplice biografia di Francesco Baracca da inserire in queste pagine avrebbe un'utilità relativa. I tratti essenziali della sua vita sono noti ai più e comunque facilmente reperibili. Più interessante è invece approfondire i tratti della personalità di un uomo che fu l'Asso degli Assi della nostra aviazione. Il suo nome è assurto a una dimensione mitica e il ricordo di questo aviatore è ancora oggi vivissimo nei luoghi dove ha vissuto. Quando le incursioni austriache si facevano minacciose ed i caccia della 91^ prendevano il volo, di bocca in bocca, tra la gente timorosa, circolava la frase rassicurante: «..riva lù». Arriva lui: Francesco Baracca. Nel comune sentire, l'aeroplano era allora una macchina fantascientifica, in grado di portare la morte a grandissima distanza dai fronti di combattimento fin dentro le case della gente comune. In lui le persone vedevano dunque il difensore e il «salvatore», quando trepidavano per le continue incursioni notturne che non permettevano di riposare. Le sue gesta ingigantite dalla stampa lo trasformarono ben presto in una fonte di ispirazione per gli altri piloti e un simbolo di sicurezza per le persone comuni. Francesco Baracca giunse per la prima volta a Istrana in occasione della battaglia dell'Ortigara (6 giugno 1917 - 2 luglio 1917) quando prese il comando della 91 squadriglia formata un mese prima a Udine con i migliori piloti della 70^. Dal primo combattimento, sostenuto il 7 settembre del 1915, erano già passati quasi due anni. L'allora capitano Baracca, «asso» con 5 vittorie riconosciute dal novembre del 1916, aveva già 13 successi nel suo carniere. Durante quel mese di permanenza a Istrana non aggiunse però nessun altro abbattimento alla lista dei suoi successi, eccezion fatta per un aereo avversario danneggiato l'8 giugno. L'attività fu comunque intensa e Baracca - per la prima volta comandante di reparto - si ritrovò a dover familiarizzare con questo ruolo del tutto nuovo. A Pezzan l'ormai famoso pilota andava da un certo Giacomini, a farsi riparare i piccoli guasti che a volte affliggevano la motocicletta con cui si spostava e per la quale, da buon sportivo, nutriva una vera passione. A Trevignano invece consumava i suoi pasti alla Trattoria «Zanella». Frequentava anche Musano con il suo attendente per procurarsi il latte alla casa della famiglia Martignaghi, al punto che un bambino di nome Arduino, che veniva spesso preso in braccio dall'eroe, fu soprannominata «Baracca». Ritornò nel trevigiano l'11 marzo del 1918 per vivere i suoi ultimi 100 giorni e morire a trent'anni durante la «Battaglia del Solstizio». Baracca amava i cavalli, la musica, la motocicletta e naturalmente il volo. Come tutti i ragazzi di buona famiglia studiò in collegio. A scuola era diligente anche se non disdegnava eccezionalmente farsi aiutare per superare qualche difficoltà. Manteneva un rapporto personale quasi esclusivo con la madre a cui scriveva praticamente ogni giorno. Era però sostenuto anche dal padre nelle sue scelte professionali, anche quando quest'ultimo non le condivideva. Cosciente della sua posizione sociale tenne sempre un comportamento educato e signorile, senza mai eccedere in nulla. Anche le sue avventure sentimentali furono riservate e quasi segrete. Dopo il collegio intraprese la carriera militare, diventando un perfetto «Signor Ufficiale». Venne premiato come primo classificato alla scuola di cavalleria e il riconoscimento gli fu consegnato dal veneto conte Giorgio Emo Capolista. Dentro di lui c'era però anche un altro Francesco, con un animo rivoluzionario e un po' birichino, massone, liberale e progressista che mal sopportava gli abusi di potere e l'opportunismo. Si circondò di piloti spesso audaci e scapestrati, inclini alla goliardia fino al limite dell'estrosità di Guido Keller, ma che davano sempre il massimo. Le sirene della grande industria che aveva interesse nelle forniture militari tentarono spesso di sedurlo al pari di molti suoi colleghi meno famosi, invitandolo a stringere con essa rapporti più stretti e diretti. Baracca se ne mantenne sempre lontano. Sportivo, atletico e di carattere taciturno, questo grande aviatore probabilmente non riusciva a considerarsi un comandante nel senso più burocratico del termine ma comunque svolgeva il proprio compito con serietà e precisione, benché gli impegni di ufficio rappresentassero un chiaro ostacolo all'attività di volo. Sensibile e modesto sapeva motivare e coinvolgere i propri piloti più con la sua personalità che con l'autorità del grado. In azione era determinato e si impegnava tenacemente per raggiungere l'obiettivo. Fu comunque la sua cavalleria nei confronti del nemico a costituire l'elemento che colpì di più l'immaginario popolare consegnandone la figura alla storia dell'aviazione Italiana. L'immagine di combattente senza macchia e senza paura prese il sopravvento sulla sua semplicità di uomo. Baracca era cosciente come tutti gli altri piloti che in qualsiasi momento la vita comoda del campo poteva mutarsi in un inferno durante le missioni di volo. Il 15 novembre 1917 partendo da Padova, a 4000 m. sopra Istrana, ebbe un drammatico combattimento che si concluse in modo impressionante. Il velivolo del pilota austriaco che gli si contrapponeva fu avvolto dalle fiamme e l'uomo si gettò ne vuoto per evitare di morire bruciato. Non era la prima volta per Baracca che un duello aereo nel quale era coinvolto conosceva un epilogo così tragico. E' da queste esperienze che in lui nasce il timore del fuoco a bordo che poi farà ipotizzare ad alcuni che egli si sia suicidato per non restare vittima delle fiamme. Nonostante questo, non si tirò mai indietro. L'uso dei proiettili traccianti però lo preoccupava e lo metteva a disagio. Lo scrisse alla madre il 1 agosto del 1917: «Le pallottole con scia luminosa che adoperiamo non dovrebbero comunicare il fuoco alla benzina, viceversa questo succede spesso, ed è un fatto molto impressionante veder bruciare un aeroplano a tremila metri e gli aviatori che si gettano nel vuoto, come sempre accade e sto pensando di non adoperale più perché è già il terzo cui faccio fare questa fine». A Quinto si era sistemato con gli ufficiali presso Villa Borghesan. Baracca raccontava alla madre di trovarvisi molto bene e vi aveva portato anche il suo cavallo. Aveva infatti ricominciato a montare facendo lunghe passeggiate. La Battaglia del Solstizio, fu per lui un periodo cruciale. Non scriveva più alla madre e la tensione continuava a salire fino alla sera di quel fatidico 19 giugno, quando dopo la burrascosa telefonata con il generale Bongiovanni decollò per il suo ultimo volo.
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